Hamstring

Hamstring

Articolo scritto in collaborazione con il Dott. Jacopo Ravanelli.

I muscoli posteriori della coscia comprendono il bicipite femorale, il semitendinoso e il semimembranoso; questi ultimi tre muscoli sono i muscoli flessori della coscia che vengono identificati con il termine anglosassone hamstring.

Il muscolo bicipite femorale come dice il suo nome, ha due capi di origine. Il capo lungo origina dalla tuberosità ischiatica, il capo breve dal terzo medio del labbro laterale della linea aspra del femore. Il tendine di inserzione comune prende attacco sulla testa della fibula (o perone) e sul condilo laterale della tibia. Contraendosi, flette extraruota la gamba ed estende la coscia.

Il bicipite femorale è un muscolo biarticolare, che controlla sia l’articolazione dell’anca, che quella del ginocchio. E’ ricco di fibre a contrazione rapida (FT), ancor più di quanto non lo sia il quadricipite femorale. Un’alta percentuale di FT costituisce un alto fattore di rischio per l’integrità muscolare, soprattutto durante forti e violente contrazioni eccentriche (Garret, 1984) durante le quali si verifica appunto un reclutamento preferenziale di fibre di tipo FT (Potvin, 1997).

Il capo breve del bicipite femorale origina dal terzo medio della linea aspra con un’inserzione lunga ed incostante, che costituisce di per sé un fattore predisponente alla lesione (Burkett, 1975).

Il capo lungo del bicipite femorale è innervato dal nervo tibiale, mentre il capo corto dal nervo peroniero comune. Questa doppia innervazione può generare un tipo di contrazione vigorosa ma incoordinata e quindi potenzialmente pericolosa per l’integrità del muscolo stesso (Brunet e Hontas, 1996).

Il muscolo semitendinoso deve il suo nome al fatto che si presenta carnoso nella parte superiore e forma invece un tendine in quella inferiore. Origina dalla tuberosità ischiatica e si inserisce con un lungo tendine sulla superficie del condilo mediale della tibia. Flette e intraruota la gamba ed estende la coscia.

Il muscolo semimembranoso deve il suo nome al fatto che è costituito, nel suo terzo superiore, da una lamina tendinea. Origina dalla tuberosità ischiatica e si porta fino al ginocchio, dove il suo tendine si divide in tre parti: una (tendine discendente) va a terminare sulla parte posteriore del condilo mediale della tibia, la seconda (tendine ricorrente) risale verso il condilo laterale del femore formando il legamento popliteo obliquo e la terza (tendine anteriore o riflesso) prende attacco sul condilo mediale della tibia. Ha la stessa azione del muscolo semitendinoso.

Hamstring è il nome collettivo con il quale nella terminologia anglosassone si definiscono i muscoli flessori della coscia, ossia il muscolo bicipite femorale, il semimembranoso ed il semitendinoso.

L’alta incidenza delle lesioni a livello degli hamstring in ambito sportivo è più che ampiamente documentata.

Tra le attività sportive considerate a rischio possiamo ricordare il football australiano, il rugby ed il calcio.

Nell’ambito del calcio australiano, ad esempio, i danni al BF rappresentano il 13% di tutti i traumi e causano una perdita di lavoro pari a ben il 16% dell’allenamento totale (Sewar e coll., 1993).

Uno studio condotto da Askling (Askling e coll., 2003) ci mostra come, nell’ambito del football, ben il 47% dei traumi muscolari indiretti subiti durante le gare o gli allenamenti siano a carico dei muscoli flessori della coscia.

La severità di tali lesioni va dal semplice DOMS (delayed onset muscle soreness) sino alla rottura muscolare completa. Il denominatore comune di rischio di tali attività sportive potrebbe essere l’alta velocità di corsa richiesta durante il gioco, nonché gli arresti improvvisi, le ripartenze ed i repentini cambi di direzione: infatti gli incidenti alla muscolatura flessoria della coscia sono particolarmente ricorrenti in tutte quelle attività sportive nel cui profilo prestativo siano richiesti sprint, accelerazioni, decelerazioni, rapidi cambi di direzione e salti (Devlin, 2000; Drezner, 2003).

Le lesioni agli hamstring possono essere spesso drammatiche per la carriera sportiva di un atleta, causando prolungate assenze dalle competizioni nonché un alto tasso di rischio di recidiva.

La percentuale di recidiva di lesione degli hamstring può raggiungere secondo alcuni autori percentuali elevatissime, pari al 30% con un picco di rischio nelle prime tre settimane di ripresa dell’attività sportiva.

L’alta percentuale di recidive è spiegabile attraverso il fatto che, mancando dei criteri obiettivi di giudizio, diviene difficile stabilire l’avvenuta completa guarigione evitando, in tal modo, un prematuro e rischioso ritorno all’attività sportiva.

A questo proposito uno studio di Connell e coll. (2004) ha mostrato come, in giocatori di football australiano incorsi in una lesione a livello degli hamstring, gli esiti non stabilizzati di tale lesione fossero ancora evidenti, tramite RM, nel 36% dei soggetti a 6 settimane dall’evento lesivo. Tuttavia, vista la complessità del problema è anche ragionevole poter pensare che i criteri da adottare per il ritorno all’attività sportiva possano essere diversi ed altamente specifici per ogni disciplina considerata.

Alcuni studi indicherebbero come la dislocazione anatomica delle lesioni rivesta, nell’ambito delle lesioni degli hamstring, un valido indicatore predittivi del tempo necessario per il ritorno allo stesso livello prestativo pre-lesionale.

Importanti e dettagliate informazioni in tal senso possono essere desunte dalle immagini di RM od ecotomografiche, senza dimenticare l’importanza di un’accurata indagine clinica.

Secondo alcuni autori uno dei più importanti indici predittivi per ciò che concerne la durata del trattamento riabilitativo sarebbe rappresentato dalla distanza della lesione nei confronti della tuberosità ischiatica. Infatti, più craniale risulta la dislocazione della lesione, maggiore risulta essere il periodo di recupero; per cui l’interessamento lesionale del tendine prossimale libero sarebbe associato a tempi di guarigione più lunghi.

Un altro aspetto interessante dello studio di Askling e coll. (2006) è rappresentato dalla messa in evidenza del fatto che frequentemente si ritrovino lesioni associate del bicipite femorale e del semitendinoso, tanto è vero che gli autori definiscono tale tipo di lesione con l’appellativo di “tandem injury”.

Le lesioni agli hamstring avvengono a causa dell’interazione di numerosi fattori di rischio di tipo modificabile e non modificabile.

I fattori di rischio immodificabili includono l’età anagrafica, pregressi traumi muscolari ai flessori e l’appartenenza al gruppo etnico Afro-Caraibico, mentre tra i fattori di rischio modificabili possiamo annoverare lo squilibrio muscolare tra la forza espressa dagli hamstring e quella prodotta dal quadricipite femorale, un insufficiente warm-up, un carico di lavoro globale eccessivamente elevato, un’insufficiente elongabilità muscolare, un’antiversione del bacino ed un’insufficiente forza della muscolatura lombo-pelvica.

Da un punto di vista epidemiologico, le lesioni agli hamstring possono essere classificate come:

  • “minori” quando comportano una sola settimana di assenza dall’allenamento e dalla competizione;
  • “moderate” se impongono da una a tre settimane di assenza dall’allenamento e dalla competizione;
  • “maggiori” se obbligano a più di tre settimane di assenza dall’allenamento e dalla competizione.

In ambito traumatologico è necessario sottolineare un fattore determinate sia nell’eziologia, che nella classificazione dei danni di natura traumatica indiretta a carico dei muscoli flessori dell’arto inferiore: nella letteratura anglosassone si utilizza il termine hamstring injury per indicare quello che noi definiamo danno agli ischio-crurali. In effetti questa terminologia è troppo vaga e necessiterebbe di una definizione più precisa o, meglio ancora, di una precisa distinzione di tipo anatomico-funzionale.

La prima distinzione che, in quest’ambito occorre fare, è di tipo funzionale ed è la seguente: durante la corsa, il semimembranoso mostra il massimo dell’attivazione quando frena eccentricamente la flessione della coscia sul bacino nella sua fase di oscillazione in avanti, mentre il bicipite mostra la massima attività nella fase finale della spinta (Elliot e Blanksby, 1979).

Da questa considerazione nasce un’ulteriore distinzione questa volta di ordine traumatologico. Il termine danno degli ischio-crurali pecca di mancanza di specificità anatomico-funzionale, occorrerebbe distinguere in due casi specifici di diversa natura, ossia:

  • il primo riguardante il danno del semimembranoso, essenzialmente causato da una violenta contrazione eccentrica (in catena cinetica aperta), nell’espletamento del suo ruolo di “antagonista puro” durante la parte finale della flessione della coscia sul bacino nel corso della sua fase di oscillazione in avanti;
  • il secondo a carico del bicipite femorale, causato da una contrazione di tipo eccentrica che si verifica nella fase finale della spinta del piede a terra, quindi durante un movimento a catena cinetica chiusa.

Nel corso di uno sprint quindi i momenti di “alto rischio” per gli ischio-crurali sono essenzialmente due, ben distinti tra loro e con un’eziologia altrettanto ben distinguibile, il primo a carico del semimembranoso ed il secondo riguardante il bicipite femorale. L’eziologia lesiva a carico del semitendinoso non trova ancora invece un inquadramento biomeccanico ben preciso.

Bibliografia

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  8. kinemovecenter.it
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About Luca Barni

Sono Fisioterapista, osteopata e laureato in scienze motorie. Svolgo la mia professione a Montecatini Terme (Pistoia), affiancando al lavoro pratico, l’insegnamento e la ricerca scientifica. Scrivimi lucabarnistudio@gmail.com